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URGA, TERRITORIO D'AMORE
(URGA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 15 settembre 1991
 
di Nikita Michalkov, con Bayartu, Badema, Vladimir Gostuchin, Larisa Kuznecova (Unione Sovietica - Francia, 1991)
Uno dei segreti del cinema di Nikita Michalkov consiste nella rottura di tono: l'arte di mutare registro, spezzare l'atmosfera, rilanciare la tensione della costruzione drammatica e della condizione poetica. Arte difficile - la possedeva Chaplin, l'utilizzava Hitchcock - ma affascinante: poiché, se padroneggiata, permette di raggiungere una straordinaria libertà espressiva.

URGA descrive l'incontro, nella steppa della Mongolia cinese, fra una famiglia di pastori nomadi ed un camionista russo. Dalle prime, immense panoramiche sulle curve infinite del paesaggio, dai primi suoni che il contrasto con dimenticati silenzi rendono in tutta loro violenza comprendiamo di assistere ad uno di quegli incontri incantati tra lo sguardo di un cineasta egli elementi naturali: quelli del Pollack di JEREMIAH JOHNSON, del Kurosawa di DERSOU UZALA, del Boorman di DELIVERANCE. L'unione fra il miracolo di Flaherty, che è quello di renderci l'uomo intatto nella natura, primitivo e reale; e quello di un cinema, come quello del regista sovietico, che consiste nel sapere trasformare la medesima realtà in gioco, in fantasia.

Ma se URGA - è il laccio che serve ai mongoli per acchiappare i cavalli; ma anche l'asta che si pianta come un segnale nella steppa, quando si vuole appartarsi con la propria donna - non si accontenta di essere un'elegia all'armonia fra l'uomo e la natura, se assume nuove e poliedriche dimensioni - documento antropologico su dei paesi, popoli, costumi lontani; commedia burlesca, messaggio ecologico, storia d'amore, riflessione sull'incontro e la convivenza d'individui di lingua e cultura diversa - è proprio perché Michalkov si dimostra giocoliere incantato, oltre che poeta ispirato degli spazi. Non è soltanto, allora, perché l'aneddoto grazioso (i preservativi da acquistare in città, poiché i figli sono già quattro, e la legge cinese impone i il controllo delle nascite) conduce Il pastore ed il suo nuovo amico in città, che URGA si muta in commedia: ma perché le rotture di tono imprimono ora al film una rinnovata vitalità, evitandogli il lirismo più facile, o il messianismo più strumentale.

Cinema cosmico, che dall'infinitamente grande della luna che inonda di azzurro la notte nel deserto conduce all'infinitamente piccolo dell'insetto stretto fra le dita del bimbo; o all'occhio dell'amico cavallo che riflette l'antico spettacolo. Ma anche cinema che si sdrammatizza nella tenerezza, nell'affettuoso ammiccamento, lontano da ogni solennità evocatrice ed accademica. Così, quando la bambina sotto la tenda intona con la fisarmonica un tema in onore dell'ospite improvvisato, non è un canto della steppa, ma un paso-doble da corrida spagnola che nasce dalla tastiera. Al contrario, quando Sergej, il camionista con le note tatuate sulla schiena si lascia andare nel night in città, è in uno di quei canti dal lirismo inimitabile, che solo la sterminata dimensione russa, o la sfrontatezza romantica slava sembrano ancora capaci di proporre.

Liberato da quello che potremmo definire il ritegno del conformismo, Michalkov sa allora cogliere l'attimo fuggente con l'immediatezza dei maestri del meraviglioso: di fronte al nascere improvviso di un arcobaleno, il regista improvvisa una rincorsa del padre col bambino dove i colori si confondono con l'orizzonte della steppa. Mentre gli eventi quotidiani - l'agnello che viene ucciso, scuoiato, cucinato - si caricano del mistero, poi dei fasti di un rito, semplice ed arcano. E il dialogo con gli animali, lo spazio, gli elementi naturali sembrano ritrovare un'armonia perduta per sempre, suggerire il trascorrere del tempo, incoraggiarci a sfidare la minaccia della loro scomparsa. Il miracolo di URGA è che tutto ciò riesca ad articolarsi con suprema leggerezza, grazie al disincanto dell'intelligenza dell'autore: quel suo essere moderno, imprevedibile, mai ligio, ai limiti del paradosso, come quando fa rispondere al monaco in meditazione dal quale il pastore si reca per chiedere consiglio: "Che vuoi che ne sappia? Ho già i miei problemi. " Ed il nostro gli regala una mela.

Certo, nella libertà rilassata, nella straordinaria generosità di un cinema del genere, nascono magari anche gli scompensi - sono quelli che si affrettano a sottolineare coloro che dicono che URGA è un film furbo, populista, woytiliano perché il protagonista s'imbroglia in farmacia e torna a casa senza preservativi - ma ditemi voi dove uno va a pescarle delle idee del genere -; o che gli hanno dato il premio a Venezia perché bisognava dare una mano a Gorbaciov. Piuttosto, un sogno con Gengis Khan troppo insistito, la metafora sottolineata di una ciminiera che spunta all'orizzonte, i riflessi nel televisore che il mongolo si porta nella tenda che inducono l'autore di OCIE CIORNIE a qualche sottolineatura didascalica di troppo.

Sono cose che non succedono ai funzionari della contabilità in immagine: grazie a Dio, Nikita Michalkov avrà talvolta l'immaginazione che gli prende la mano, ma non fa parte di costoro.


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